Come gestire pensieri funzionali e disfunzionali.
CoVi siete mai chiesti che influsso possono ricevere i comportamenti dai pensieri? E’ una domanda che, seppur nella sua semplicità, è molto complessa ed articolata ed esigerebbe anche una lunga discussione, ma che per esigenze di spazio potremmo riassumere con questa breve risposta: in quanto esseri umani noi pensiamo, proviamo emozioni ed agiamo.
Tre aspetti che solitamente interagiscono tra di loro, e che mi evidenziano il ruolo fondamentale del pensiero. Persone diverse, per esempio, possono avere pensieri diversi di fronte allo stesso evento, e di conseguenza, anche, reagire in modi totalmente diversi. Non risulta l’evento, quindi, come produttore di reazioni diverse, bensì il modo di interpretare lo stesso evento produrrebbe reazioni diverse nelle varie persone. Le persone, spesso, sono convinte che gli eventi o le situazioni provochino direttamente le emozioni; ad esempio, ci accorgiamo di aver commesso o detto cose fallaci nel compiere un determinato atto e per questo riferiamo di provare ansia. Che errore commettiamo in questo caso? Non valutiamo i nostri pensieri che intervengono prima dell’emozione.
Proviamo ad analizzare, ad esempio, una situazione tipo: abbiamo scritto una relazione di lavoro, e ci accorgiamo di aver commesso un errore nella stesura (A); non appena ce ne rendiamo conto, secondo la teoria di collegamento diretto evento-emozione, diciamo di provare ansia, irritazione o addirittura evitiamo la persona per cui l’abbiamo scritta (C). Tra la prima e la seconda sequenza ci dimentichiamo, però, di tener conto di tutti quei pensieri o convinzioni formulate prima di definire l’emozione, cioè tutto quello che ci diciamo, anche attraverso un dialogo interno (B) o sottoforma di un pensiero automatico (della cui presenza nemmeno ci rendiamo conto), ad esempio “sono uno stupido. Il capo si arrabbierà molto e io perderò il posto”.
Secondo la teoria cognitiva, ma anche secondo molti pensatori filosofici moderni, sarebbero i nostri pensieri che ci inducono a stare male; l’interpretazione della realtà, ciò che noi diciamo a noi stessi mentalmente sarebbe influenzato dalle esperienze precedenti, dalla nostra personalità, dall’opinione che noi abbiamo di noi stessi e dalle nostre aspettative.
Dobbiamo distinguere quindi tra un pensiero così detto funzionale e uno disfunzionale. Che cos’è un pensiero disfunzionale? Il pensiero disfunzionale è un pensiero prevalentemente controproducente; il terapeuta cognitivo comportamentale, solitamente, lo valuta non corrispondente o ben poco aderente alla realtà; talvolta la persona riferisce il pensiero come esagerato nelle manifestazioni e nelle considerazioni; un pensiero disfunzionale non aiuterebbe ad affrontare né ad ottenere ciò che vuoi né a farti sentire come vuoi. Che cosa differenzia il pensiero funzionale dal disfunzionale da un punto di vista cognitivo? Il pensiero funzionale è realistico, logico, costruttivo e flessibile, a differenza del disfunzionale che è catastrofico, distruttivo o illogico.
All’interno di un percorso terapeutico cognitivo comportamentale, il terapeuta aiuterà (dopo una attenta valutazione ) il cliente ad identificare i pensieri disfunzionali, a contrastarli e a sostituirli con pensieri diversi, alternativi e più funzionali, ovviamente attraverso una valutazione delle conseguenze del modo di pensare e degli errori di ragionamento e atteggiamento disfunzionale. Una persona che soffre di ansia generalizzata, ad esempio, tende ad aspettarsi il peggio e tende spesso a comportarsi nel modo in cui realmente il peggio può accadere veramente, alla stregua di una profezia che si autoavvera.
Ecco che la disfunzionalità dei suoi pensieri porterà un ulteriore incremento dell’ ansia.
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